Afrodite

All’inizio, è un nulla. Un soffio appena,
un brivido di squame, la carezza dell’ombra
come nube marina che si sgrana
nei tentacoli a raggiera della medusa.
Non si dica che il mare si è commosso
e l’onda ora si forma dal suo fremito.
Nel dondolio del mare danzano pesci
e le braccia delle alghe, serpentine,
le curva la corrente, come il vento
le messi della terra, il crine dei cavalli.
Tra due infiniti blu avanza l’onda,
tutta di sole coperta, risplendente,
liquido corpo, instabile, d’acqua scura.
Accorre il vento da lontano e reca
il polline dei fiori e altri profumi
della terra antistante, oscura e verde.
Tuonando, l’onda rotola fecondata
e si slancia verso il vento che l’attende
nel letto scuro di rocce che si increspano
di unghie appuntite e vite brulicanti.
Ancora in alto le acque si sospendono
nell’istante supremo di tanta gestazione.
E quando, in un’estasi di vita che comincia,
l’onda si frange e sfrangia sulle rocce,
le avvolge, le cinge, le stringe e poi vi scorre
– dalla spuma bianca, dal sole, dal vento che ha spirato,
dai pesci, dai fiori e il loro polline,
dalle tremule alghe, dal grano, dalle braccia della medusa,
dai crini dei cavalli, dal mare, dalla vita tutta,
Afrodite è nata, nasce il tuo corpo.

José Saramago, Le poesie (2002)